Una vile aggressione. Il risultato espresso fuori dal campo è sicuramente più eloquente dell’1-1 che Gallipoli e Fidelis Andria hanno prodotto sul campo. Eppure le premesse erano buone, in nome di un comportamento corretto (elogiato dallo stesso presidente del Gallipoli) nella gara di andata. Una vile aggressione che, indipendentemente da quanto successo all’andata, non doveva essere assolutamente collegata al calcio. Ma oggi va di moda, oggi va così. Non è importante sentirsi tutti pugliesi, perché quando si va “fuori regione” e ci si sente attaccati, tutti mostriamo il radicamento e l’attaccamento alle origini, alla nostra terra, portando in giro la nostra “pugliesità” con orgoglio, ma basta una semplice partita di calcio, tra due realtà della stessa regione, “tra di noi” come si usa dire, a distruggere e a far mettere da parte tutto questo. Non è stata la prima volta e non sarà neppure l’ultima. Non è un problema di Gallipoli e Fidelis Andria (che oggi finiscono sui giornali loro malgrado), insomma, è un problema di tutti. L’osservatorio sulle manifestazioni sportive a volte sembra esagerato nelle decisioni prese ma forse, in fondo, la colpa è anche nostra, di tutti coloro che hanno qualunque interesse nel calcio, dal tifoso al calciatore, dal dirigente agli organi di informazione. Mettiamoci tutti in discussione se vogliamo riportare la “normalità” nel calcio. E la normalità è poter permettere ai tifosi della Fidelis Andria, o di qualunque squadra che giochi fuori casa, di assistere alla gara, ad una famiglia qualsiasi di recarsi allo stadio e di godersi uno “spettacolo”, come quando si va a teatro, come quando si va al cinema, come quando si porta i bambini al parco giochi. Lo stadio non deve essere diverso da questi luoghi.
Portare all’esasperazione anche una gara di Eccellenza, tra due realtà che nulla hanno a che vedere con questa categoria (va detto), è il sintomo già ampiamente evidenziato che il calcio non è più semplicemente un “gioco”. Tutti sanno che è sbagliato, tutti prendono le distanze da un episodio vile, nessuno vuole la colpa, ma qualcuno l’ha fatto. Non si vuole e non si deve crocifiggere nessuno, sia chiaro, ma certi episodi hanno bisogno di essere chiamati con il proprio nome, “violenza”, e in quanto elemento diseducativo e divisorio non può essere mescolato, o semplicemente affiancato grammaticalmente, a qualcosa che dovrebbe unire, come una partita di calcio.
Succederà ancora, magari forse anche domenica prossima, magari anche in una gara di Prima, di Seconda o ancora di Terza Categoria perché, e questo è importante ricordarselo, purtroppo il calcio non è più semplicemente un gioco.
Fabio Lattuchella
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