BARI – Padroni del proprio destino. Ora più che mai, ora più di prima. Non è una novità assoluta in questa stagione. Ma è, a sette turni dal termine, una sentenza. Il Bari non è ancora in B perché la matematica lascia aperte porte e speranze (in verità neanche le altre squadre ci credono più), ma il vantaggio di dieci punti è un segno delle stelle. E soprattutto lascia una pesante sensazione di vuoto pneumatico in chi insegue. Minandone riserve mentali e inquinando anche quelle fisiche. Perché nel calcio si gioca prima con la testa e poi con i piedi. Così come raccontava un tale che di nome faceva Johan e di cognome Cruijff. Il calcio è uno sport che si gioca con il cervello, bisogna essere al posto giusto nel momento giusto, non troppo presto e neppure troppo tardi. Ciò che sta accadendo al Bari.
Vero. Non è tempo di proclami, non è tempo di festeggiamenti anticipati. Il calcio era, è e resterà una di quelle materie indecifrabili per eccellenza, ciò che vale oggi non varrà più domani. E bene fa il saggio Mignani a tenere tutti sulla corda. A proposito del tecnico. La sua concretezza, perché è concretezza e non certo incapacità, ha spesso dato vita a discussioni, quasi a diaspore all’interno della tifoseria. La verità è una. Nel calcio contano i fatti, contano i risultati. Qui a Bari, dopo le cocenti delusioni degli ultimi anni fra fallimenti e mancate promozioni, ancora di più. Oltre a necessarie conoscenze tecniche e tattiche, Mignani continua a mostrare grandi doti di gestore. Il che non è un dettaglio. Perché una rosa così ricca tecnicamente e con personalità di rilievo, ben amalgamata e costruita dal lavoro costante del «diesse» Polito, non poteva non aver bisogno di un grande gestore del personale.
Il coinvolgimento totale di tutti i giocatori alla fine si è rivelata un’arma letale. Felici e vincenti. Tutti. Certo, ci sono state vittorie risicate, vittorie all’ultimo secondo. Ma anche in A ci sono squadre che avanzano collezionando 1-0. Lì vale il «corto muso» e qui no? Il risultato è uguale ad ogni latitudine. In A come in C. Due anni fa la Reggina, l’anno scorso la Ternana. E quest’anno il Bari sulla stessa falsa riga. Non è finita, c’è ancora da soffrire. Ma la sensazione di asfissia che la C sta regalando da tre anni è sempre più rarefatta. E già questo rende un senso di libertà che negli ultimi tempi era stata smarrita.