E la domenica andavamo allo stadio a vedere il Lucera Calcio

E la domenica andavamo allo stadio a vedere il Lucera Calcio

stemma nuova luceraE la domenica andavamo allo stadio; andavamo a vedere le partite del Lucera Calcio. Anche quando, di inverno, il freddo era tanto e il vento ti tagliava la faccia.

Al Comunale il vento non manca mai, spira stranamente, solo lì, pure quando il sole ammanta la città di luce caraibica e non si muove una foglia. Le folate sorvolano i Monti Dauni e arrivano a razzo, investendo in pieno il terrazzamento su cui si trova lo stadio. Da dicembre a marzo, si battono i denti, si stringono le spalle, si affondano le mani nelle tasche. In quei pomeriggi da polo nord, la cabina radio-tv, che si staglia al centro della tribuna, era come un rifugio di alta montagna minacciato dalla bufera: tutti a cercarvi riparo. Questo almeno negli ultimi anni; prima, quando lo stadio non era cementificato, senza l’attuale grande tribuna che nella sua pancia ingloba gli spogliatoi, gli spettatori erano ancora più esposti.

E la domenica andavamo allo stadio, alle 14,30, reduci da un pranzo frettoloso; andavamo a vedere le maglie biancocelesti, che una bella emozione l’hanno pur sempre data, non solo sulle spalle dei giocatori più rappresentativi, il grande centravanti, la mezza’ala dai piedi buoni, il mediano faticatore, il portiere saracinesca, l’ala veloce e il difensore insuperabile. C’era una variegata unamità che si addensava sul campo e fuori; il rumore dei tacchetti scandiva il ritmo del suo cuore, gonfio di entusiasmo, rabbia, delusione, come vuole la legge dello sport. C’erano i presidenti, gli allenatori, i collaboratori; e c’erano gli applausi, i fischi, le contestazioni, le urla di disapprovazione; e le lacrime, è capitato. E sì, ne abbiamo viste di partite; e quante ne hanno disputate quelle maglie, in ottant’anni (1934-2014). Si fa fatica a rincorrere con la mente tutti i nomi dei calciatori passati da queste parti negli ultimi decenni, e scovare gli altri nelle profondità del passato, se fosse possibile, sarebbe cosa immane, tanti sono stati.

Ma quei nomi, quelle facce, quelle vittorie e quelle sconfitte, quei palloni mandati in fondo alla rete, con una prodezza o con un colpo di fortuna, quelle parate all’incrocio dei pali, quelle respinte in acrobazia con i pugni in un grappolo di teste, quei cross, quegli assist, quei corner, quelle punizioni e quei dribbling ci sono stati; sono la materia con la quale è impastata una storia. Come siamo stati capaci di crearla, ma una storia nostra, di qui, che esiste, anche se ormai non si vede e non si tocca, o non la si vuole vedere e toccare, quasi fosse l’espressione di un putrido mondo di reietti. Siamo tutti sconfitti, sia chiaro, retrocessi, pubblico da televisione; e abbiamo deciso di essere tali da lungo tempo.

Così, la domenica andavamo allo stadio; andavamo a vedere le partite del Lucera Calcio. Anche quando, di inverno, il freddo era tanto e il vento ti tagliava la faccia. Ma, oggi che non ci siamo, quel vento disperde, come fosse cenere, la bellezza di un sogno. Un sogno che è sempre biancoceleste e si chiama Lucera Calcio.

SundayRadio.it

laquis

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