L’astuto Vadacca nasce allenatore nella nostra contrada, inventandosi una insperata salvezza; la beneamata era già a terra, con i condor pronti al fatal banchetto, e con qualche iena ad accontentarsi di poche interiora. Al nostro condottiero, spesso soprannominato – ahibò – Re Manfredi, è riuscito il miracolo di portare a casa una permanenza che vale quanto una promozione. Il presidente Antonio Sdanga, che ha il merito di aver traghettato, in questi ultimi anni, i biancoazzurri fuori dal baratro, ad inizio stagione mi sembrava Laocoonte abitante di Troia. Nell’Eneide si narra che, quando i troiani portarono dalla spiaggia nella città il celebre cavallo, egli corse verso di esso scagliandogli contro una lancia che ne fece risonare il ventre pieno, proferendo la celebre frase Timeo Danaos et dona ferentes «Temo i Greci, anche quando portano doni». Atena, che parteggiava proprio per i greci, punì Laocoonte. Sdanga ha da tempo sbandierato la crisi finanziaria, ma nessuno è corso al suo capezzale, salvo i soliti “pochi” generosi sodali, e il Comune – vero azionista di maggioranza – che con “le Roi Richard” ha “tappato” molte falle.
Il solo Di Toro ha avuto gli zebedei quadrati facendo da balia ad una gruppo assai dimesso. Franco Cinque si è immolato in nome della purezza ed onestà stilistico-tattica, con i suoi che ormai lo abbandonavano. I nostri Alfieri hanno pedalato e sudato senza veder quattrini, e le contese sono apparse scevre di emozioni e di risultati. Mi sono arrischiato in digressioni un po’ sadiche per sublimare quanto di meglio si è potuto fare. Gli altri soloni ruminavano commenti assassini, e ora disserto della salvezza in maniera mirabolante, proprio perché adesso sono certo che la stagione è finita. La prossima annata è la mia trentacinquesima da cronista e mi accingo a recarmi alla scuola di Sirone e Filodemo (tra Posillipo ed Ercolano) per apprendere i precetti di Epicuro ovvero l’Eudemonia. Al termine di questa stagione c’è bisogno di evocare la figura del Rex Magnus de Caelo, profetizzato dagli oracoli sibillini, per trovare qualche temerario che possa continuare l’epopea biancoazzurra. Monsieur Vadacca (in sella dalla XXIX) ha avuto il merito di essere stato pragmatico e di aver scelto i masnadieri in base al proprio stato di forma; per sua fortuna non ha avuto “tenzoni di escarnio” con il suo interlocutore Di Toro, e il tutto è filato liscio. Finisce così il doveroso resoconto ai miei prodi, mi brucia lo spazio e chiedo scusa se sono stato lezioso.
Giovanni Ognissanti
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