Il fallimento delle ASD

Il fallimento delle ASD

Il periodo storico attuale impone a chiunque una ponderata valutazione della normativa esistente; non sono ammesse distrazioni. Il rischio fallimento dovrebbe essere, oggi più che mai, valutato da chiunque; anche da chi, per pura passione, decida di entrare nel mondo dello sport nelle vesti di un dirigente mecenate.

La crisi economica ha investito come un treno tutte le attività commerciali e, pertanto, il legislatore ha negli anni cercato di alzare il livello di guardia, anche quando siano coinvolte associazioni sportive dilettantistiche. Come noto le associazioni sportive dilettantistiche sono inquadrate come enti giuridici non commerciali.

Con il termine “fallimento” si indica l’obiettiva incapacità di un soggetto (imprenditore commerciale) di far fronte puntualmente alle proprie obbligazioni. Il fallimento è definito dalla prevalente dottrina come quel processo esecutivo rivolto all’esecuzione coattiva del diritto dei creditori. Come noto, l’assoggettabilità al fallimento è legata ad una preventiva valutazione, da parte del giudice, al fine di stabilire se l’ente non commerciale, nel corso della sua attività ed in riferimento ad un riscontrato stato di insolvenza, abbia assunto la qualità di imprenditore commerciale.

La delicata questione deve essere affrontata partendo dal fatto che il fallimento non dovrebbe riguardare le associazioni in quanto, tali categorie di soggetti, non sono giuridicamente ricomprese in quella degli imprenditori commerciali. L’attività di queste, infatti, dovrebbe essere rivolta di regola ai fini istituzionali senza perseguire, quindi, finalità lucrative.

Nell’ambito dell’attività sportiva dilettantistica la forma più utilizzata dagli enti è proprio quella dell’associazione. In particolare l’ordinamento italiano prevede due tipi di associazioni: riconosciute e non riconosciute. La maggior parte delle società affiliate alle Federazioni svolgono la loro attività nella forma di associazioni non riconosciute e, quindi, prive di personalità giuridica.

La mancanza di tale requisito, in ogni modo, non impedisce che l’associazione stessa abbia una sua capacità di agire mediante persone fisiche che agiscono in base al principio della rappresentanza organica. Il carattere distintivo degli enti non commerciali è costituito, quindi, dal fatto di non avere come oggetto esclusivo o principale lo svolgimento di un’attività di natura commerciale che determina reddito d’impresa.

Al fine di individuare l’oggetto esclusivo o principale dell’ente si deve considerare l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari dell’associazione così come stabilito nello statuto e nell’atto costitutivo. L’art. 111 bis, comma 1, DPR 917/86 prevede, tuttavia, che, indipendentemente dalle previsioni dello Statuto e dell’Atto Costitutivo, l’ente perde la qualifica di ente non commerciale se eserciti prevalentemente attività commerciale.

Alla luce di quanto detto, quindi, si può affermare che l’ente, la cui prevalente attività si caratterizzi come impresa, anche se costituito in forma di associazione non riconosciuta, debba essere dichiarato fallito ove insolvente.

Destino questo che accomuna tutte le imprese insolventi prescindendo dalla loro giuridica conformazione. Pertanto, pur mancando un’apposita previsione normativa, deve ritenersi come dato acquisito, vista anche l’esigenza di garantire un’adeguata protezione ai terzi e ai creditori, che, qualora l’associazione sportiva perda la qualifica di ente non commerciale, la stessa debba essere assoggettata a fallimento nel caso in cui risulti insolvente.

Alla luce di quanto detto, quindi, si può affermare che l’ente, la cui prevalente attività si caratterizzi come impresa, anche se costituito in forma di associazione non riconosciuta, debba essere dichiarato fallito ove insolvente.

Destino questo che accomuna tutte le imprese insolventi prescindendo dalla loro giuridica conformazione.  Pertanto, pur mancando un’apposita previsione normativa, deve ritenersi come dato acquisito, vista anche l’esigenza di garantire un’adeguata protezione ai terzi e ai creditori, che, qualora l’associazione sportiva perda la qualifica di ente non commerciale, la stessa debba essere assoggettata a fallimento nel caso in cui risulti insolvente.

L’art. 1 della Legge Fallimentare e l’art. 2221 c.c., infatti, nell’indicare i soggetti sottoposti a questo tipo di procedura si riferiscono agli imprenditori in senso lato che esercitino un’attività commerciale, compresi quindi anche gli enti non societari che svolgono comunque tale attività in forma collettiva. La necessità di tutelare i creditori e i terzi che contrattano con le associazioni ha spinto il legislatore ad avere un occhio particolarmente attento al fine di evitare che queste, divenute insolventi, rischino di godere di una sorta di impunità pur svolgendo attività identiche a quelle d’impresa.

La giurisprudenza, in sostanza, sostiene che è sufficiente che lo stato di crisi irreversibile sia cagionato dallo svolgimento di un’attività commerciale che, anche se svolta in vista del perseguimento dei fini istituzionali, risulti prevalente o addirittura esclusiva rispetto alla complessiva attività dell’associazione. Il fatto che l’aspetto commerciale prevalga sul resto delle attività rappresenta un affievolimento del fine sociale; tale circostanza legittima l’applicazione delle procedure concorsuali (fallimento).

È bene, dunque, sottolineare che un’associazione sportiva dilettantistica può si gestire un attività commerciale purchè la stessa non snaturi la finalità non lucrativa dell’ente. Alla luce di quanto esposto, a costo di sollevare un certo allarmismo che, tuttavia, sembra più che giustificato, mi spingerei fino a dire che lo strumento dell’associazione sportiva non riconosciuta sia addirittura pericoloso. L’assenza in tali enti della c.d. autonomia patrimoniale perfetta rappresenta un grandissimo rischio per le persone fisiche coinvolte. In sostanza le obbligazioni contratte dalle Asd sono garantite, oltre che dal patrimonio della medesima associazione anche dal patrimonio personale di coloro che hanno agito in sua rappresentanza.

Tale considerazione conduce ad una chiara riflessione: se l’associazione fallisce corre uguale rischio chi ha agito per nome e conto di essa! Per le obbligazioni assunte dalla associazione i terzi possono, infatti, far valere i loro diritti oltre che sul fondo comune anche sul patrimonio delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione poichè le stesse sono personalmente e solidalmente obbligate.

Con riferimento al rischio di fallimento la posizione di tali soggetti è particolarmente delicata atteso che il fallimento di una associazione non riconosciuta produce il fallimento di tutti gli associati che siano illimitatamente responsabili secondo la disciplina propria delle associazioni non riconosciute, ossia, a norma dell’art. 38, 1º comma, c.c., coloro i quali abbiamo agito in nome e per conto dell’associazione.

Alla luce di tutto quanto sopra esposto, appare chiaro che lo strumento delle associazioni sportive dilettantistiche non rinosciute debba essere abbandonato lasciando lo spazio a Società ad esempio costituite nelle forme di s.r.l. ovvero di s.p.a. (senza scopo di lucro).

Tali forme, pur non dovendo rinunciare alle agevolazioni storicamente riconosciute alle A.S.D., sono dotate di una struttura ed una regolamentazione più adeguate. La S.S.D. (per esempio s.r.l.), infatti, oltre ad essere contraddistinta da una puntuale disciplina legislativa è dotata di personalità giuridica, con la conseguenza che, delle obbligazioni sociali, risponderà solo ed unicamente la società con il proprio patrimonio senza alcuna esposizione per il patrimonio personale degli amministratori e/o dei soci.

Avv. Cristian Zambrini (www.studiolegalezambrini.it)

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